1982 by Paolo Rossi Federica Cappelletti

1982 by Paolo Rossi Federica Cappelletti

autore:Paolo Rossi, Federica Cappelletti [Rossi, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788807884269
editore: Feltrinelli
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Una festa universale

Le bandiere erano dappertutto, un tripudio di colori e sensazioni. Ci rotolammo sul campo, abbracciandoci l’un l’altro. Alla fine diventammo una palla umana, un groviglio di corpi senza forma.

Solo allora realizzai che eravamo saliti sul tetto del mondo: non si trattava più di una speranza, né di un’utopia. Eravamo campioni, dominatori sul Brasile di Zico e Falcão e sull’Argentina di Diego Armando Maradona. In campo, come nelle case degli italiani, risuonò la telecronaca conclusiva di Nando Martellini: “CAMPIONI DEL MONDO, CAMPIONI DEL MONDO, CAMPIONI DEL MONDO”. Ripensai per un istante al maledetto Partenio di Avellino, ventiquattro mesi di angoscia, sconforto e voglia di riscatto mi passarono davanti in pochi secondi. E ora eccomi qui, al centro dell’universo, con i miei compagni di squadra.

11 luglio 1982: allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid, davanti a novantamila spettatori l’Italia aveva vinto il dodicesimo Mondiale di calcio, battendo per 3 a 1 la Germania Ovest. Il terzo trionfo, quarantaquattro anni dopo quelli impolverati del 1934 e del 1938.

Conscio della portata di quel trionfo, negli spalti affollati di tifosi Pertini abbracciò con slancio il re di Spagna che, da perfetto padrone di casa, poco dopo consegnò a Zoff l’agognata Coppa. Dino si strinse a noi e sollevò quella Coppa al cielo. Cinque chili d’oro massiccio, diciotto carati, un altro pezzo d’Italia, opera dello scultore milanese Silvio Gazzaniga, nella quale era rappresentata la figura di due atleti nel momento culminante della vittoria e con le braccia alzate per ricevere il globo terrestre. Dalle mani di Zoff al pennello di Guttuso: l’artista siciliano immortalerà le mani di Dino protese sulla Coppa nello storico francobollo.

Feci solo mezzo giro di campo con i compagni, poi mi fermai. Ero distrutto. Mi presero i crampi. Allora mi sedetti, grondante di sudore, vicino a un tabellone pubblicitario, a guardare la folla entusiasta. Lo stadio era avvolto dalle bandiere italiane, mi emozionai come un bambino. Nella mia testa tornarono a scorrere i ricordi della mia carriera: dai calci ai bordi del Bisenzio al clamore di quella notte incantata. Provai un fondo di amarezza, mentre continuavo a pensare: “Fermate il tempo, non può essere già finita, non vivrò più certi momenti”. Perché la felicità, quella vera, quella totalizzante, dura solo attimi. Quelli erano i miei attimi.

Fuori dal Bernabeu si concentrò un’euforia farneticante, come in ogni città italiana, dove le auto scorrazzarono fino a tarda notte sbandierando il tricolore. Successe di tutto e di più in quelle ore, ma lì per lì non ce ne rendemmo conto. Era talmente forte quell’emozione, ci sentivamo come dentro una palla di vetro. Ovunque vedevo i segni di gloria.

Bearzot aveva smesso di fumare la sua pipa, ora aveva uno sguardo felice e appagato. Lo sollevammo e lo portammo in trionfo in mezzo al Bernabeu delirante. La sua magrezza rese più facile il nostro compito. Nessuno, più di lui, meritava quel successo per le mille difficoltà che si era trovato a superare, lottando con la sua intelligenza e la sua umanità contro le diffidenze e i critici prevenuti. A uno a uno ci ringraziò dopo aver rimesso i piedi a terra, baciandoci sulla fronte.



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